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Calabria: la grande bellezza...stuprata


"Se un giorno i nostri amici dovessero venirci a trovare in Calabria, li porteremo a visitare i posti più belli, i monumenti più significativi, ma tra uno spostamento e l'altro li benderemo".


Così, al termine di una giornata trascorsa tra Monasterace e Stilo, tra il museo che conserva i reperti dell'antica Kaulon e il tempietto greco-bizantino del IX secolo noto come Cattolica, mi diceva, affranta, dispiaciuta tanto quanto me, Vittoria, quasi volesse espellere fuori dal proprio corpo, dalla propria mente, un'infinita serie di squallide brutture incrociate nel corso dei nostri spostamenti. Non-finiti, ecomostri, strutture fatiscenti e pugni negli occhi d'ogni genere costellano infatti da cima a fondo il territorio calabrese, deturpando, stuprando una terra che, tanto da un punto di vista naturalistico quanto da quelli storico e culturale, potrebbe offrire tantissimo.


Millenni di culture differenti si sedimentano, stratificandosi le une sulle altre, in Calabria. Dagli antichi pelasgi ai greci, dai romani ai bizantini, dagli arabi ai normanni fino ai francesi e agli spagnoli: tutti questi popoli hanno lasciato sul suolo calabrese le profonde tracce del loro passaggio, rendendo questa terra ricca e feconda di reperti, monumenti, siti e strutture d'ogni genere. Meraviglie, perle, gioielli che, in pochi decenni, in un tempo relativamente breve se paragonato alla sua storia millenaria, gli attuali abitanti di questa regione hanno voluto sporcare, inquinare in mille differenti modi, tanti e tali da impedire a chiunque si avvicendi in questi territori di perdersi nel semplice stupore, nella dolce meraviglia che tanta ricchezza normalmente andrebbe a suscitare.


Distese di ecomostri emergono dal terreno, perdendosi a vista d'occhio tra le colline e i centri abitati: non c'è angolo di terra in Calabria che non sia stato inquinato da quelle che sarebbero dovute diventare case o strutture d'altro genere, e che poi, per un motivo o per l'altro, sono rimaste incompiute: scheletri di cemento che evocano povertà, miseria, disgrazia. Ecco dunque la foto che diviene emblema di una grande bellezza stuprata, lo scatto che apre questo articolo: un'insegna posizionata sulla strada di Stilo, comune della provincia reggina, promuove le bellezze locali, tra cui la Cattolica e il convento delle clarisse. Immediatamente dietro, sulle colline retrostanti il cartellone promozionale, ecco una lunga schiera di ecomostri, una bella fila di non-finiti che, se per un istante ci fossimo soffermati a pregustare le bellezze storico-architettoniche che di lì a poco saremmo andati a visitare, immediatamente ci richiamano all'ordine del degrado, dell'abbandono, dell'incuria.


Avrebbe mai potuto formarsi nel modo più armonico possibile Tommaso Campanella, filosofo nativo del comune di Stilo, se fosse cresciuto in mezzo a tanto orrore? Come Stilo, come Monasterace, qualsiasi altro comune o città calabrese ci obbligano allo stesso genere di riflessione, di domanda: può un qualsiasi ragazzo puntare alla bellezza, all'armonia, crescendo nel bel mezzo di tanta bruttezza? La stessa domanda che, qualche anno addietro, poneva, facendo proprie le parole del vescovo di Locri, il giornalista Gian Antonio Stella in luogo di un'ospitata al festival di San Remo.

(mosaico policromo di drago dell'antica Kaulon, odierna Monasterace - ph. Vittoria Gargano)

Una domanda che parte da un senso di profonda amarezza, dalla rabbia nel vedere reperti e bellezze d'ogni tipo, come quelle mostrate qui in foto, violentemente inquinate, sporcate, vilipese dalla più totale incuria, dalla più assoluta noncuranza. Chissà che un giorno lo sguardo del calabrese giunga a non poter più sopportare tanto degrado, agendo di conseguenza: nel frattempo, noi, giriamo bendati.

(la Cattolica di Stilo - ph. Vittoria Gargano)

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